Pubblicato da Andrea Sisti il 6 Aprile 2012 in Letteratura

La guerra solitaria del soldato Jünger

“La mia visita a Jünger, cinque anni fa, mi offrì un’esperienza insolita”. Così scriveva, nel 1981, Bruce Chatwin, riordinando le tracce di un colloquio avuto con il grande scrittore tedesco (1). Sono certo che parecchi di voi – come me – avrebbero desiderato essere presenti all’incontro fra due intelligenze tanto brillanti e feconde. Sono altrettanto convinto, però, che più d’uno, alla fine, ne sarebbe rimasto deluso. Lo stesso Chatwin, che si spinse fino in Alta Svevia, a Wilflingen, dalle parti del castello Stauffenberg, per parlare di guerra, per domandare, per chiedere spiegazioni, per catturare frammenti di memoria resa latente, inespressa, non ha nascosto al lettore il proprio disappunto. Troppo, volutamente evasivo l’atteggiamento di quell’ottantenne energico, dalla risata “lieve e chioccia”, sempre in preda alla distrazione e poco incline a parlare di sé (“Fare visita a un grande scrittore non ha senso, perché egli s’incarna nelle proprie opere”, voleva dirgli, insomma, citando Montherlant e Tolstoj…). Dal dialogo mancato di un grande viaggiatore con l’uomo che aveva attraversato, solitario, il deserto del dopoguerra tedesco, ma soprattutto dall’impossibilità di materializzare una realtà mai effettivamente esistita, poiché concreta solo nelle trasfigurazioni di cui è capace la letteratura, è nato questo resoconto, un pugno di pagine rocciose che Chatwin scolpisce intorno alla guerra irrituale dell’“esteta” Jünger, in occasione dell’uscita dei primi tre volumi del Journal (2). Anche Chatwin, insomma, si trova costretto a cercare le opere per trovare l’uomo, a leggere le Tempeste d’acciaio, poi le Scogliere di marmo e, infine, questo eccezionale diario di guerra – strahlungen, irradiazioni (3), “l’opera più strana che sia uscita dalla seconda guerra mondiale, di gran lunga più strana di qualunque scritto di Céline o Malaparte” – per dialogare davvero con Jünger. Probabilmente, Ernst Jünger: un esteta in guerra sconta l’esito di quel confronto appena abbozzato. Forse, porta su di sé le cicatrici lasciate dalle questioni irrisolte, dalle domande rimaste senza risposta. Comunque sia, il risultato è un testo sostanzialmente bipartito, che non valorizza la complessità della prospettiva spirituale adottata da Jünger. Dapprima, presenta il distinto ufficiale francofilo che “riaffiora” a Parigi nel 1941: turista “nella città che ogni soldato tedesco ha sognato”, passeggiatore solitario, insaziabile bibliofilo, osservatore in grado di scorgere la realtà dietro la realtà, assiduo frequentatore di ristoranti, protagonista dei salotti collaborazionisti (dove “ammira il manoscritto originale dell’Educazione sentimentale e l’insalatiera d’oro di Sara Bernhardt”), amico di letterati e pittori. Un elegante e innocuo signore in divisa, insomma, che probabilmente non meriterebbe l’attenzione critica accordatagli. “Ma Parigi non è tutta una vacanza”, si precisa, a un certo punto. Ed è qui che la narrazione compie il salto di qualità decisivo e illumina per noi l’altro Jünger. Qui: nell’abbraccio mortale del soldato con il sangue, con le esecuzioni capitali, con il fuoco, con quella “guerra totale” alla quale lo scrittore tedesco riteneva vincolato l’uomo del Novecento, inesorabilmente schiavo dell’istinto di morte che lo abita. Dopo trent’anni, anche alla luce di un interesse crescente per il pensiero di Jünger, foriero di nuove edizioni delle sue opere migliori, la rilettura delle pagine di Chatwin non riesce ad appagarmi. Mi lascia insoddisfatto, proprio come dopo un incontro lungamente agognato, dal quale avrei voluto ricavare opportunità, spunti, rivelazioni, fino all’invito estremo a definire – lo si legge nei diari… – nuove “oasi nel mondo della distruzione”.

(1) Bruce Chatwin, Ernst Jünger: un esteta in guerra (1981), in Che ci faccio qui?, Milano, Adelphi, 1990, pp. 359-380.

(2) Chatwin fa riferimento all’edizione Christian Bourgois, Paris, 1981.

(3) È il titolo correttamente adottato dall’editore italiano: Ernst Jünger, Irradiazioni. Diario 1941-1945, traduzione di Henry Furst, Parma, Guanda, 19952.

Andrea Sisti (andrea.sisti@cittadelsilenzio.it)